Sciogliere Forza nuova altro che «valutare le modalità»

Sciogliere Forza nuova altro che «valutare le modalità»

– Gianfranco Pagliarulo*, 22.10.2021

Squadrismo fascista. Non si tratta di «valutare le modalità», cosa che fra l’altro il governo sta già facendo, ma di impegnare il governo allo scioglimento, data l’evidenza del caso straordinario di necessità e urgenza nella fattispecie dell’assalto alla sede della Cgil nazionale e del Pronto Soccorso.

Come si fa ad essere pienamente soddisfatti dell’ordine del giorno approvato in Senato a proposito dello scioglimento delle organizzazioni neofasciste? Esso impegna il governo «a valutare le modalità per dar seguito al dettato costituzionale in materia di divieto di riorganizzazione del partito fascista».

Valutare le modalità? La legge Scelba prevede che, ove non vi sia ancora una sentenza che abbia accertato la riorganizzazione del partito fascista, «nei casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo, sempre che ricorra taluna delle ipotesi previste nellarticolo 1, adotta il provvedimento di scioglimento e di confisca dei beni mediante decreto-legge». Non si tratta quindi di «valutare le modalità», cosa che fra l’altro il governo sta già facendo, ma di impegnare il governo allo scioglimento, data l’evidenza del caso straordinario di necessità e urgenza nella fattispecie dell’assalto alla sede della Cgil nazionale e del Pronto Soccorso.

Fra l’altro da anni avvengono aggressioni e violenze da parte di membri di Forza Nuova e più in generale delle organizzazioni neofasciste. Ci sono tutti i presupposti di legge (art.1 della legge Scelba) per intervenire tramite decreto, e cioè la matrice fascista, l’uso sistematico della violenza, il pericolo effettivo per la democrazia, la ragione eversiva. In presenza di tali presupposti non c’è solo il potere, ma mi pare anche il dovere del governo di sciogliere l’organizzazione neofascista, perché l’urgenza dell’intervento non consente di attendere i tempi della giustizia penale.

Sono inoltre francamente stupito della non partecipazione al voto del centrosinistra, con l’eccezione di Leu, sull’odg del centrodestra che attribuirebbe alla legge Scelba un potere di scioglimento nei confronti come si legge nel testo del centrodestra di «movimenti di ogni ispirazione politica che esaltano la violenza come metodo di lotta politica», ignorando che il titolo della legge è “Norme di attuazione della XII Disposizione transitoria e finale” che si riferisce esclusivamente al partito fascista. E questo per l’ovvio motivo che l’Italia ha subito un ventennio di sangue, di guerra e di dittatura a causa del fascismo.

Altra cosa è, nella mozione del centrodestra, la giusta citazione dell’art. 270 del Codice penale che sanziona ogni associazione sovversiva. Il punto, però, è che nella mozione del centrodestra si «bilancia» l’aggressione alla sede Cgil, ridotta per di più ad «alcune decine di individui», con l’elenco di cinque circostanze di disordini, veri o presunti, riconducibili all’area cosiddetta antagonista, senza alcun accenno alle centinaia di episodi di violenza da parte di neofascisti, neonazisti, razzisti che da tempo si susseguono nel nostro Paese, e che l’Anpi ha da più di due anni segnalato alla Procura della Repubblica con un apposito esposto e con tanto di allegati.

La mozione del centrodestra non vede ciò che è sotto gli occhi di tutti nelle forme più diverse: dalle aggressioni fisiche alla insistita apologia del fascismo da parte di personaggi non solo da cabaret persino il falconiere della Lazio che saluta col saluto romano! ma anche delle istituzioni, come consiglieri comunali e assessori regionali, per non parlare del verminaio messo in luce dall’inchiesta Fanpage.

L’odg del centrodestra, detto in due parole, sembra dia un colpo al cerchio ed uno alla botte, senza una esplicita, chiara e specifica assunzione di responsabilità nei confronti del neofascismo. Ciò che si rifiuta è il riconoscimento esplicito e definitivo che il pericolo reale per la democrazia oggi è costituito da fascismi, nazismi, razzismi e nazionalismi. Un’altra buona occasione persa dalla destra italiana. Ed allora, perché il centrosinistra non ha partecipato al voto?

* Presidente nazionale Anpi

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Intervento di Luca Casarotti al Convegno su Errera

“1. Il convegno di oggi è il nodo pavese d’una rete d’iniziative, tessuta dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia per ricordare, nei luoghi in cui ciascuno di loro era in cattedra, gli accademici che novant’anni fa rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo. La coincidenza vuole che quest’anniversario, occasione per il nostro Ateneo di celebrare il coraggioso «I would prefer not to» opposto al regime da un suo professore, Giorgio Errera, incroci il centenario di un altro fatto profondamente radicato nella storia di Pavia e nella memoria dei suoi cittadini: ll’omicidio di Ferruccio Ghinaglia, assassinato il 21 aprile 1921 nel Borgo Ticino da un gruppo di squadristi. Per commemorare i due avvenimenti, nel corso dell’anno, l’Università di Pavia ha meritoriamente patrocinato altrettanti convegni: l’odierno si aggiunge a quello su Ferruccio Ghinaglia e il suo tempo, tenuto lo scorso 21 aprile presso il Collegio Ghislieri, di cui Ghinaglia è stato un alunno.
2. I due anniversari sono per più versi complementari. Anzitutto, la successione cronologica degli eventi commemorati restituisce, per exempla, l’esatta misura del divenire-regime del fascismo: nel volgere del decennio che separa l’uccisione di Ghinaglia dal rifiuto di Errera, un movimento il cui braccio paramilitare aveva eliminato impunemente, tra gli altri, anche il giovane antifascista pavese (il processo per l’omicidio di Ghinaglia, celebrato in un clima d’intimidazione verso giudici e testimoni, si concluse com’è noto con l’assoluzione degli imputati) diviene il partito-regime che si fa giurare fedeltà dai docenti universitari.
Da molti punti di vista, Giorgio Errera e Ferruccio Ghinaglia sono le due fronti del Giano. Il procedimento retorico della comparatio personarum, applicato alle loro biografie, rivela due dimensioni esistenziali e politiche che nella storia dell’antifascismo italiano sono, per l’appunto, complementari. Quando fu ucciso, lo studente universitario e militante comunista non aveva ancora compiuto ventidue anni: era nato a Casalbuttano, in provincia di Cremona, il 29 settembre 1899. Il bellissimo ritratto che gli ha dedicato Elisa Signori nell’Almum studium papiense, la storia dell’Università di Pavia diretta da Dario Mantovani, ha per titolo un tricolon che compendia esattamente la sua vita activa e la sua sorte violenta: «studente medico, rivoluzionario, ucciso per mano fascista».
Dal canto suo, quando rifiutò di sottostare al giuramento di fedeltà al fascismo, Giorgio Errera aveva già una lunga e prestigiosa carriera alle spalle: nato a Venezia nel 1860, ordinario dal 1892, era a Pavia dal 1917, titolare del corso di chimica generale e incaricato di chimica organica. Ghinaglia ed Errera potrebbero perciò essere l’antonomasia delle due tradizionali componenti della comunità accademica: comunità nella quale, sia detto per inciso, è un terzo incluso, il personale dipendente non docente, che ha avuto un ruolo di rilievo anche nella storia dell’antifascismo. Ma una simile rappresentazione sarebbe consolatoria, perché negli stessi anni la comunità accademica fu incarnata anche da personalità di segno opposto. Basti dire che gli squadristi imputati per l’omicidio di Ghinaglia erano (o avevano da poco smesso di essere) studenti dell’Università di Pavia: riprova che l’università riflette i conflitti della società di cui è parte, e ne è parimenti lacerata.
3. Se poi ci volgiamo a considerare le ragioni che animarono il loro antifascismo, le scelte del “vecchio professore” e del “giovane studente” nuovamente risaltano, come la fotografia e il suo negativo, le une nel rovescio delle altre. Esponente tra i più attivi della frazione comunista del Partito Socialista pavese, dopo il Congresso di Livorno Ghinaglia contribuì, coerentemente, a fondare la federazione di Pavia del Partito Comunista d’Italia. Il suo antifascismo era dunque proteso all’esterno, nella dimensione collettiva, politica e organizzativa. Egli leggeva il fascismo anzitutto nella sua dimensione classista, cioè come un movimento essenzialmente antiproletario. Aveva precocemente intuito, si potrebbe dire echeggiando Claudio Pavone, che la Liberazione sarebbe stata anche una guerra di classe.
Per Errera, invece, non giurare fu una scelta individuale. Il che non vuol dire impolitica: la fede liberale era anzi da lui rivendicata apertamente. Ne è una testimonianza (ce ne parlerà tra poco Paola Vita Finzi) la lettera privata in cui nel 1923 il chimico veneziano motivò a Giovanni Gentile il rifiuto di assumere il rettorato del nostro Ateneo, che il suo antico collega all’Università di Palermo, nel frattempo divenuto ministro del governo di Mussolini, gli aveva offerto. La fede liberale accomunava dunque Errera a Benedetto Croce, il cui “antimanifesto” egli sottoscrisse nel maggio 1925. Lappello crociano era per altro riuscito a chiamare a raccolta un fronte ampio d’intellettuali, alcuni dei quali anche molto lontani, se non quasi agli antipodi, dall’idea di liberalismo espressa dal suo manifesto. Tra i dodici firmatari pavesi figurano , ad esempio, gli antichisti Siro Solazzi e Plinio Fraccaro (il futuro Rettore della Liberazione), entrambi socialisti riformisti e a diverso titolo impegnati nel partito di Turati.”