RIFLESSIONI INTORNO AL 25 APRILE
Quante volte ci siamo chiesti, in tutti questi anni, cosa significhi ricordare ogni volta una data come il 25 aprile?
Più il tempo passa e più viene naturale chiedersi quale senso possa continuare ad avere la celebrazione di un ‘rito di memoria’ che può far correre persino qualche rischio di retorica e di imbalsamazione della storia.
E proprio per il rispetto dovuto al messaggio che ne viene – quando troppo spesso, oggi, si piange il sangue dei vinti per diffamare il sangue dei vincitori – c’è bisogno di tornare a dare autenticità e senso alle parole che usiamo. Per non usarle a vanvera. Per riflettere insieme sul significato storico e politico di quella vicenda, per tutti noi cittadini di un Paese distratto e troppo spesso dimentico dei valori che ci accomunano.
E se la Resistenza definisce un evento storico, è anche sintesi di un messaggio preciso. Perché l’idea che contiene, quella del ‘resistere’, è certo il frutto di una congiuntura storica complessa, ma è anche il punto di convergenza di un’idea di civiltà. Perché ‘resistere’ significa assumere come regola un atteggiamento di difesa e non di aggressione; è convinzione profonda nelle proprie buone ragioni, ma senza volerle imporre ad altri con la forza; è uso di una violenza limitato alla sua necessità estrema; è impegno duraturo e sacrificio prolungato.
Ma ci sono altre parole importanti su cui è bene riflettere. Ogni anno ci si trova a “commemorare”. Cioè a “fare memoria insieme”. E cosa vuol dire fare memoria insieme di eventi di 76 anni fa?
Vuol dire tre cose essenziali: non dimenticare, perché nella storia degli uomini la memoria, personale e collettiva, è essenziale, sempre, per dare senso al nostro vivere e al nostro agire; ritrovare e rinsaldare la consapevolezza dell’evento e dell’eredità che ne proviene, laddove la Costituzione ci parla, certo, di diritti, ma anche di doveri, che sono i diritti degli altri; conservare, infine, la coscienza che si tratta di un patrimonio comune, appartenente cioè non a una parte o a una fazione, ma all’intera comunità.
Ecco perché l’eredità di cui parliamo deve essere fonte permanente di responsabilità per ognuno di noi. Specie in questi tempi difficili, per capire un po’ di più il nostro presente.
Il 25 aprile o giù di lì cessarono gli spari e le ferite aperte pian piano, con difficoltà, si richiusero. Tutto era distrutto e da ricostruire. Un’intera generazione era stata bruciata in una guerra terribile. Con grande fatica, ma si ricominciò. E mentre si ricostruiva un tessuto politico, civile, sociale ed economico distrutto, restava il dovere di ricordare.
Proprio la storia e la memoria dei nostri padri, delle nostre madri, dei nostri nonni (e bisnonni, ormai) possono aiutarci a trovare le parole adatte per interpretare il nostro difficile presente e immaginare il futuro anche in questi nostri tempi, richiamando l’essenza dei valori profondi di una convivenza civile.
La varietà di motivazioni individuali alla base di quella scelta fu allora molto ampia. In quella straordinaria stagione di responsabilità e di scelte nessuna delega era possibile. Nascondersi o presentarsi al distretto; collaborare o ribellarsi; fuggire, restare, sparare, tacere, parlare, furono volta a volta, molte volte, una scelta individuale. E mai come allora ci si accorse che la storia collettiva era fatta di tante storie personali. Storie che ancor oggi ci invitano ad abbandonare i fantasmi dell’indifferenza e gli accomodamenti della rinuncia e ritrovare il messaggio e la lezione lucidissima di quegli uomini e di quelle donne che compirono, 76 anni fa, una scelta di fondo di cui ciascuno portava su se stesso tutta intera la responsabilità.