Morte del partigiano Alfredo

Il 5 maggio u.s. è morto l’ultimo Partigiano della Frazione Castello di Santa Giuletta, Edmondo Montagna, detto Alfredo, tutta l’Anpi provinciale di Pavia esprime le più sentite condoglianze alla famiglia. Lo salutiamo commossi, con questa bella lettera ricordo, predisposta dagli aderenti alla costituenda sezione Anpi di Castello di Santa Giuletta:

CIAO ALFREDO!

Montagna Kramer Tessera Patriota

Castello di Santa Giuletta ha perso il suo ultimo partigiano.

Alfredo Montagna se n’è andato lo scorso 5 maggio. A Castello di Santa Giuletta dove era nato nel 1925, e dove aveva vissuto la sua età più bella, era e sarà per sempre il Tedo. Apparteneva a una storica famiglia locale poi trasferitasi a Villa.
 
Lassù, tra i suoi amici più cari dell’infanzia e della giovinezza, ci furono Egidio Guastoni e Pietro (Pierino) Montagna. Il giudizio dei loro compaesani che ancora li portavano e li portano nel cuore, ne riconosce, in un qualche modo, l’indole e le qualità particolari affermando che ” Jérân no mé nü  “. Tedo, infatti, come i suoi due amici, fu un ragazzino discolo, negli anni sono sempre stati ricordati con simpatia l’originalità e l’innocenza delle loro marachelle. Quei tre ragazzi furono dapprima piccoli e irresistibili monelli fantasiosi, poi giovani partigiani dallo spirito libero, ribelli semplici e puri con sogni e ideali belli e nobili come loro. Il giovane Tedo, che amava la vita con la gioiosità e le tenaci speranze dei suoi begli anni, non esitò dunque ad abbracciare l’ideale partigiano. A ispirare la scelta sua e dei suoi due compagni contribuì in larga misura l’attaccamento al paese, l’esempio della sua gente che da sempre, con spirito solidale, affrontò le fatiche dei loro giorni. Tedo conserverà per tutta la vita il legame forte con Castello e la sua gente.
 
Nel febbraio del ’45 Alfredo ed Egidio entrarono a far parte della Brigata Togni
 
e furono rispettivamente i partigiani Kramer e Sipe. Alfredo, che sapeva suonare la fisarmonica, volle portare nella “sua” resistenza un respiro di serenità e di allegria con la musica di quel compositore dal nome così strano. Egidio, forse per convincere più se stesso che i compagni, scelse come nome di battaglia quello della bomba più potente usata nella Grande Guerra. Nulla invece si sa del nome di battaglia che Pierino aveva scelto. Fu infatti ucciso nel ’44 a Giovi di Arezzo mentre, quattro giorni dopo aver disertato dall’esercito della Repubblica Sociale Italiana, stava raggiungendo la Brigata Pio Borri che operava in Casentino.
 
Il 25 aprile 1945, giorno della liberazione per l’Italia del nord, la Togni, insieme alle Brigate Casotti e Sandri, entrò in Casteggio per sgominare l’ultimo baluardo repubblichino ormai fiaccato. Tedo, ricordando quell’episodio, non si capacitava di come avesse potuto uscirne vivo. Con un gruppo di compagni stava setacciando gli ultimi rifugi dei repubblichini, ormai in fuga, quando, nel forzare la porta di un’abitazione, si trovò al cospetto di un gruppo di tedeschi armati. Il racconto di Tedo non andò mai oltre il trauma di quello spavento. Non ci fu dato sapere come si fosse potuto salvare.
 
A Castello sta per essere fondata una sezione ANPI dedicata ai tre amici partigiani.
 
Il tempo fermo della pandemia da Covid19 ci ha privato della gioia di poterla inaugurare alla presenza di Alfredo che ormai era l’unico dei tre amici partigiani ancora vivente.
 
Il cuore generoso, la positività, la cura degli affetti il rispetto dei valori e degli ideali hanno delineato il senso della vita di Alfredo.
 
Di lui ci mancheranno anche le lacrime che lo assalivano negli ultimi anni quando incontrava o ricordava amici e luoghi cari. Quella irrefrenabile commozione è stata l’ultima espressione tenerissima, eppure potente della sua grande umanità.
 

Gli aderenti alla costituenda sezione ANPI di Castello di Santa Giuletta (PV) – 7 maggio 2021

 
 
 
 
 

Istoreco – Per dare un senso alle parole che usiamo

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RIFLESSIONI INTORNO AL 25 APRILE

Quante volte ci siamo chiesti, in tutti questi anni, cosa significhi ricordare ogni volta una data come il 25 aprile?

Più il tempo passa e più viene naturale chiedersi quale senso possa continuare ad avere la celebrazione di un ‘rito di memoria’ che può far correre persino qualche rischio di retorica e di imbalsamazione della storia.

E proprio per il rispetto dovuto al messaggio che ne viene – quando troppo spesso, oggi, si piange il sangue dei vinti per diffamare il sangue dei vincitori – c’è bisogno di tornare a dare autenticità e senso alle parole che usiamo. Per non usarle a vanvera. Per riflettere insieme sul significato storico e politico di quella vicenda, per tutti noi cittadini di un Paese distratto e troppo spesso dimentico dei valori che ci accomunano.

E se la Resistenza definisce un evento storico, è anche sintesi di un messaggio preciso. Perché l’idea che contiene, quella del ‘resistere’, è certo il frutto di una congiuntura storica complessa, ma è anche il punto di convergenza di un’idea di civiltà. Perché ‘resistere’ significa assumere come regola un atteggiamento di difesa e non di aggressione; è convinzione profonda nelle proprie buone ragioni, ma senza volerle imporre ad altri con la forza; è uso di una violenza limitato alla sua necessità estrema; è impegno duraturo e sacrificio prolungato.
Ma ci sono altre parole importanti su cui è bene riflettere. Ogni anno ci si trova a “commemorare”. Cioè a “fare memoria insieme”. E cosa vuol dire fare memoria insieme di eventi di 76 anni fa?

Vuol dire tre cose essenziali: non dimenticare, perché nella storia degli uomini la memoria, personale e collettiva, è essenziale, sempre, per dare senso al nostro vivere e al nostro agire; ritrovare e rinsaldare la consapevolezza dell’evento e dell’eredità che ne proviene, laddove la Costituzione ci parla, certo, di diritti, ma anche di doveri, che sono i diritti degli altri; conservare, infine, la coscienza che si tratta di un patrimonio comune, appartenente cioè non a una parte o a una fazione, ma all’intera comunità.

Ecco perché l’eredità di cui parliamo deve essere fonte permanente di responsabilità per ognuno di noi. Specie in questi tempi difficili, per capire un po’ di più il nostro presente.

Il 25 aprile o giù di lì cessarono gli spari e le ferite aperte pian piano, con difficoltà, si richiusero. Tutto era distrutto e da ricostruire. Un’intera generazione era stata bruciata in una guerra terribile. Con grande fatica, ma si ricominciò. E mentre si ricostruiva un tessuto politico, civile, sociale ed economico distrutto, restava il dovere di ricordare.

Proprio la storia e la memoria dei nostri padri, delle nostre madri, dei nostri nonni (e bisnonni, ormai) possono aiutarci a trovare le parole adatte per interpretare il nostro difficile presente e immaginare il futuro anche in questi nostri tempi, richiamando l’essenza dei valori profondi di una convivenza civile.

La varietà di motivazioni individuali alla base di quella scelta fu allora molto ampia. In quella straordinaria stagione di responsabilità e di scelte nessuna delega era possibile. Nascondersi o presentarsi al distretto; collaborare o ribellarsi; fuggire, restare, sparare, tacere, parlare, furono volta a volta, molte volte, una scelta individuale. E mai come allora ci si accorse che la storia collettiva era fatta di tante storie personali. Storie che ancor oggi ci invitano ad abbandonare i fantasmi dell’indifferenza e gli accomodamenti della rinuncia e ritrovare il messaggio e la lezione lucidissima di quegli uomini e di quelle donne che compirono, 76 anni fa, una scelta di fondo di cui ciascuno portava su se stesso tutta intera la responsabilità.
25 Aprile