Commemorazione Battaglia Costa pelata – 12/03/2023

Il monumento dove ci siamo appena recati ricorda quella di Costa Pelata come una “battaglia decisiva per la storia delle nostre montagne”.
Si tratta infatti di uno degli scontri armati che segnò una svolta nella lotta partigiana, determinando la fine di quello che fu l’ultimo grande rastrellamento strutturato, messo in atto da gruppi fascisti e da alcuni reparti tedeschi.
Prima di passare al ricordo della battaglia, è necessario inquadrare ciò che avvenne nei mesi e nelle settimane precedenti.
Siamo alla fine del grande rastrellamento dell’inverno 44-45, episodio-chiave della riscossa del movimento di liberazione in Oltrepo’ Pavese è la Battaglia delle Ceneri del 14 febbraio 1945, che abbiamo commemorato poche settimane fa a Santa Maria della Versa. A partire dal mese di febbraio, si ricostituiscono infatti le formazioni partigiane, che tornano a riorganizzarsi sul territorio, mettendo in atto diverse azioni, anche a danno di alcuni presidi nazifascisti, che vengono evacuati e smantellati.
L’avanzata delle forze partigiane provoca la reazione dei nazifascisti, che l’11 marzo
decidono di passare al contrattacco per sottrarre la zona collinare e montuosa ai ribelli, su spinta in particolare del comandante Fiorentini, malgrado o forse proprio per una volontà di rivalsa dopo la sconfitta della battaglia delle Ceneri.
L’attacco nazifascista si muove su tre direttrici:

  • in Vallescuropasso partendo da Broni;
  • nella zona di Pietragavina partendo da Varzi;
  • in Valle Ardivestra partendo da Godiasco.

I territori interessati sono scenari di forti scontri e il passaggio dei nazifascisti è accompagnato da razzie, incendi e violenze a danno di civili, in particolare in Vallescuropasso ad opera degli uomini di Fiorentini.
Non mancano le reazioni delle forze partigiane. In Vallescuropasso, nonostante l’uccisione di civili e la cattura del partigiano della Brigata Togni, Renato Moretti, sono proprio i partigiani ad avere la meglio, questo grazie a successi militari sul campo, accompagnati da un importante sostegno da parte della popolazione (in particolare donne e contadini) e favoriti anche dall’incursione di due aerei, probabilmente inglesi.
Fiorentini e i suoi uomini, che sono molto abili ad incutere terrore nella popolazione ma che ancora una volta si rivelano poco efficaci dal punto di vista militare, sono costretti a ritirarsi, abbandonando i due automezzi (una corriera e un’autoblinda) utilizzati per l’attacco, che vengono presi dai partigiani.
Maggiori difficoltà per le forze partigiane si registrano invece nelle altre zone.

Nel settore di Pietragavina, la colonna nazifascista riesce ad occupare Valverde e in
un’imboscata nei pressi di Oramala uccide Umberto Negruzzi (nome di battaglia Berto)
comandante di un distaccamento della Brigata Crespi. Un gruppo di nazifascisti raggiunge Sant’Albano, mentre altri vengono però fermati prima di raggiungere Zavattarello, che era la sede del comando partigiano, a cui puntavano.
In Valle Ardivestra, le forze nazifasciste occupano Costa Cavalieri di Fortunago, poi tentano di proseguire verso Torre degli Alberi ma sono costrette a ripiegare sull’altura di Costa Pelata.
Volendo fare un bilancio di quanto accaduto nella giornata del 11 marzo, si può affermare che nonostante le difficoltà e le perdite subite, i partigiani sono comunque riusciti a contenere l’avanzata dei nazifascisti, ottenendo anche dei parziali successi.
Il 12 marzo i partigiani passano al contrattacco nei due settori ancora in mano nemica.
A Valverde i garibaldini della Crespi, a cui si uniscono anche gruppi di altre brigate, iniziano un duro combattimento che continua per diverse ore, fino a che i nazifascisti lasciano il paese.
A Costa Pelata, sono i garibaldini della Casotti a tornare all’attacco.
Si entra nel vivo della battaglia di Costa Pelata, che si svolge con una serie di scontri,
procedendo a fasi alterne, in cui la sommità viene più volte persa e riconquistata.
Entrambe le parti chiedono ripetutamente rinforzi.
Gli aiuti ai rastrellatori arrivano da una colonna che giunge da Val di Nizza e che marcia
verso Costa Pelata facendosi scudo con due civili, presi in ostaggio.
La colonna è attaccata dal distaccamento Bixio della Casotti.
Nella sparatoria viene gravemente ferito e poi ucciso il loro comandante Luigi Migliarini,
nome di battaglia Vento, di 22 anni, originario di Rimini, trasferitosi a Roma e giunto in
Oltrepo’ dopo l’8 settembre, dove si unisce alla Resistenza.
Ai partigiani giungono rinforzi dalle brigate Sandri, Balladore e Togni, nonché da due
squadre della 2^ Brigata Giustizia e libertà operante in Val Tidone.
Gli uomini della Togni utilizzano l’autoblinda di Fiorentini presa il giorno prima, che però
purtroppo viene presto messa fuori uso, mentre i partigiani di Giustizia e Libertà sono muniti di armi anticarro, i cosiddetti “panzerfaust”, che risultano particolarmente efficaci.
In questa fase dell’attacco, è ferito gravemente il partigiano piacentino Gino Molinari,
immediatamente trasportato all’ospedale di Bobbio, dove però morirà alcuni giorni dopo.
Cadono inoltre due contadini, Giovanni Antonielli e Giuseppe Bonelli, colpiti dalle mitraglie, mentre tentano di liberare il loro bestiame dalle stalle incendiate da pallottole traccianti.
Gli scontri continuano fino a che i rastrellatori, attaccati da varie parti e minacciati di
accerchiamento, decidono di ritirarsi, costringendo alcuni contadini ad aiutarli a caricare e trasportare morti e feriti. Si ritirano velocemente, tanto che dalla fretta dimenticano un loro caduto, la cui salma verrà poi fatta recuperare da uno dei contadini, Alessandro Schiavi, rimandato a Costa Pelata da Godiasco, trattenendogli in ostaggio il figlio fino al suo ritorno.
L’evoluzione della Battaglia di Costa Pelata e più in generale quanto accaduto nei giorni 11-12 marzo ci dimostra come si intrecciano le azioni avvenute nei diversi territori e il concatenarsi in termini di conseguenza temporale delle diverse vicende.
Pertanto, momenti di commemorazione come questi non devono essere visti come il ricordo di un singolo evento storico avvenuto in uno specifico luogo, ma come un episodio che è parte integrante dell’intero movimento di Liberazione.

Questa visione d’insieme assume un significato ancor più importante quest’anno, in cui cade l’80° della Resistenza, anniversario anch’esso non legato ad uno specifico fatto ma riferito all’intero triennio 1943-45.
In genere si pensa all’8 settembre 43 come inizio della Resistenza, facendolo coincidere con l’inizio della resistenza armata. In realtà 80 anni fa già in questo periodo, nel marzo del 43, iniziavano gli scioperi nelle fabbriche (in un periodo in cui gli scioperi erano vietati), segnando l’avvio di una fase di lotta che costituisce il primo episodio di quella Resistenza, che si svilupperà in tutte le sue forme nei mesi e negli anni successivi, fino ad arrivare alla Liberazione nell’aprile del ‘45.
Il singolo episodio, come quello ricordato oggi, diventa necessariamente parte di un’esperienza più ampia. Si tratta innanzitutto di un’esperienza plurale, anche nel caso della Battaglia di Costa Pelata e dei fatti collegati, si ha infatti la collaborazione di diverse brigate provenienti da territori contigui e in alcuni casi di diversa estrazione politica. Si tratta inoltre di un’esperienza partecipata (come accennato prima, una Resistenza che si sviluppa sotto varie forme) e a questo proposito si sottolinea come, anche nei fatti appena ricordati, sia stato fondamentale in diversi momenti l’aiuto della popolazione locale.
Il ritrovarsi in giornate come queste ci porta ad interrogarci su quale sia il significato di
queste commemorazioni ai giorni nostri, spingendoci a riflettere sull’attualità di quei valori per cui allora hanno combattuto i partigiani.
Riguardo a questo, credo che non si possa ritenersi veramente antifascisti oggi, se si resta scollegati dalla realtà economica e sociale in cui viviamo, se non si cerca di garantire oggi quei valori di libertà, uguaglianza e democrazia, che ritroviamo sanciti dalla nostra Costituzione.
A questo proposito è importante ricordare che cade quest’anno il 75° anniversario dall’entrata in vigore della Costituzione, nata dalla Resistenza.
Parafrasando Piero Calamandrei, possiamo dire una Costituzione nata quindi anche su queste colline, su queste montagne, dove combatterono e caddero i partigiani; una Costituzione, come ancora ci ricorda Calamandrei, che è una macchina che non va avanti da sola ma che ha bisogno ogni giorno di combustibile.
Questo ci pone la necessità di assumerci l’impegno e la responsabilità di vigilare costantemente sulla sua piena attuazione, in tutti gli ambiti.
Risulta fondamentale riaffermare la centralità del lavoro e contribuire a creare una cultura di uguaglianza, in cui le diversità siano viste non come un limite da gestire o comunque come una sorta di minoranza/condizione da tutelare, ma invece come un’occasione di confronto e di arricchimento.
In una società come la nostra in cui aumenta sempre più il divario tra ricchi e poveri, la realizzazione di quell’uguaglianza sostanziale prevista dalla Costituzione, è necessariamente legata a interventi di giustizia sociale e di solidarietà territoriale. Mentre le forze politiche al Governo sembrano seguire la direzione opposta.
Tutto questo in uno scenario internazionale in cui la fine della guerra in Ucraina appare ancora lontana, e purtroppo sarà così fino a quando si riterrà di poter creare la pace con sanzioni e inviando armi, mentre sarebbe necessario un serio intervento delle Nazioni Unite per l’avvio di negoziati. Invece in Ucraina, così come negli altri paesi teatro di conflitti, sulla politica di pace continuano a prevalere interessi economici e altre logiche di equilibri geopolitici.
Quando parliamo di Costituzione, si deve sottolineare la sua natura antifascista.
È importante ricordarlo alla luce dei fatti di queste ultime settimane, su cui come ANPI da subito abbiamo preso posizione.

Ricordiamo che a Firenze è avvenuta un’aggressione squadrista a studenti di un liceo, per la quale il ministro Valditara non ha espresso alcuna parola di condanna, anzi è arrivato a insinuare possibili provvedimenti disciplinari verso una Preside di un altro istituto per aver preso posizione su quell’episodio, riprendendo in una lettera le origini e i pericoli del fascismo.
Altro fatto grave è quello accaduto a Cutro, vicino a Crotone, dove abbiamo assistito all’ennesima tragedia di migranti, con immagini di morti, effetti personali sulle spiagge e file di bare, che ogni volta tornano a scuotere le coscienze, salvo poi ritornare dopo poco nel dimenticatoio.
Tutto ciò è stato accompagnato da una gestione del governo quantomeno discutibile e dalle indegne dichiarazioni del ministro Piantedosi, con un atteggiamento che va addirittura oltre
le gravi responsabilità politiche in termini di organizzazione dei soccorsi in mare e criminalizzazione delle ONG. Ciò che colpisce è l’assenza di pietà e di ogni forma di umanità, un aspetto grave che va al di là di ogni differenza di posizione politica e che ricorda quella stessa disumanità che ritroviamo come normale nelle barbarie fasciste e nelle persecuzioni naziste.
È chiaro che il fascismo non tornerà più con le stesse vesti in cui l’abbiamo conosciuto negli anni del ventennio e che non sarà più lo stesso nazifascismo che è stato combattuto nelle nostre valli.
Lo possiamo però ritrovare ancora anche se in forme diverse, da quelle più evidenti dei movimenti neofascisti, delle aggressioni squadriste e dei tentativi di revisionismo storico, a segnali forse meno eclatanti, ma che sono comunque indice di una nuova forma di cultura e mentalità fascista.
Riprendendo la domanda posta prima sul significato di partecipare ai giorni nostri a queste commemorazioni, è importante affermare che siamo qui oggi per fare memoria, ma come diceva Carlo Smuraglia una memoria che sia memoria attiva, con lo sguardo al quotidiano, con l’impegno a non cadere nell’indifferenza, affinché le lotte e i sacrifici dei partigiani che stiamo commemorando non siano stati vani.
Alla luce dell’attuale situazione nazionale e internazionale, anche se in forme diverse, c’è ancora bisogno di Resistenza.

Samantha Bisio
(Vice presidente ANPI provinciale Pavia)

La Segreteria provinciale ANPI contro la guerra

Il primo anniversario dall’inizio del conflitto rende necessaria una profonda
riflessione sulle drammatiche conseguenze della guerra e sull’attuale scenario
internazionale, per cui esprimiamo la nostra preoccupazione per quanto sta
succedendo e per le sue evoluzioni future.
Riflessione che dev’essere accompagnata da una partecipazione diretta di chiunque
non vuole rassegnarsi alla situazione attuale, come avviene per le iniziative
promosse in questi giorni da un vasto arco di associazioni e sindacati che hanno già
manifestato nell’ottobre scorso e organizzato la grande manifestazione di Roma del
5 novembre.
Come ANPI Provinciale abbiamo da subito deciso di aderire al Presidio di oggi, in
quanto riteniamo fondamentale proseguire la mobilitazione unitaria con tutte le
forze democratiche, sindacati e associazioni, che condividono l’impegno per fermare
la guerra e per una politica di disarmo. È in quest’ottica che si colloca la tre giorni di
iniziative in tutta Italia promossa da Europe for Peace per un immediato cessate il
fuoco e per l’avvio dei negoziati di pace.
In questi mesi si è assistito ad una continua escalation militare con la conseguente
tragica espansione di morti e distruzioni, accompagnata da una frenetica corsa al
riarmo, sia da parte dei russi, responsabili dell’aggressione, sia degli ucraini, verso
cui crescono i rifornimenti militari occidentali. Si assiste a questo proposito alla
richiesta di armamenti sempre più offensivi, che ha portato all’invio di carri armati in
Ucraina ed alla ulteriore richiesta di aerei e missili, mentre da più parti giungono
irresponsabili dichiarazioni sul ricorso alle armi nucleari.
È ormai evidente che la gestione a livello internazionale del conflitto con l’invio di
armi e l’applicazione di sanzioni non ha avvicinato la pace.  Ha contribuito per contro
a determinare un forte aumento delle spese militari, mentre l’Europa sta
affrontando una grave crisi economica e sociale.
Ancora una volta sono le popolazioni in Ucraina (travolte dalla guerra) e Russia
(colpite dalla repressione e dalla propaganda) a pagare le conseguenze più alte di
questa guerra.
Non si può quindi rinviare oltre l’avvio di una reale fase di negoziato, di cui le Nazioni
Unite e l’Unione Europea devono farsi promotrici. Sono proprio L’ONU  – che vede
inascoltati gli appelli al “cessate il fuoco” del segretario Guterres – e
l’UE  – impegnata fino ad ora solamente nella fornitura di armamenti, con una corsa
al riarmo vertiginosa, ignorando possibili azioni politiche – che ora devono assumersi
l’onere di creare le condizioni per un trattato internazionale che ponga fine alla
guerra.
La costruzione della pace in Ucraina, così come nei tanti paesi coinvolti in altre
guerre, non può essere un’opzione ma è la sola soluzione possibile, è l’unica via da
percorrere per ricostruire un clima di coesistenza pacifica e di collaborazione fra gli
Stati e i popoli in Europa e nel mondo.

LA PACE E’ LA VITTORIA DI CUI ABBIAMO BISOGNO!
La Segreteria Anpi provinciale Pavia – Pavia 24 febbraio 2023