Commemorazione del 78° anniversario dell’eccidio di Biagasco di Pozzol Groppo

domenica 29 gennaio 2023

– L’orazione ufficiale di Marco Balossino, presidente ANPI Tortona –

domenica 29 gennaio 2023

Buongiorno e grazie per essere qui.

Sono Marco Balossino, presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani di Tortona. Parte della mia storia personale mi fa sentire forte la vicinanza a questa terra, che è distante 15 km, o, e forse è più chiaro, 4 ore a piedi dalla cascina Campioli di Dernice, dove mia madre è nata ed ha trascorso gli anni della guerra. Il suo racconto di giovani partigiani protetti, soccorsi, curati, sfamati, nascosti mi ha reso partecipe della solidarietà che il territorio di queste valli ha saputo dimostrare nella lotta contro il nazismo ed il fascismo.

Anche per questo ho risposto con emozione e gratitudine all’invito che mi è stato rivolto dai Presidenti provinciali ANPI di Pavia, Santino Marchiselli, e di Alessandria, Roberto Rossi, che mi ha chiesto di portare a tutti il suo saluto; li ringrazio molto per avermi dato l’opportunità di esprimere, insieme a voi, pensieri che rendano onore ai nostri giovani caduti, chiariscano la stringente attualità dei valori che hanno difeso, ci aiutino a condurre la vita di ogni giorno continuando a costruire il mondo che sognavano e per il quale si sono sacrificati.

I fatti.

Nella notte tra il 30 ed il 31 gennaio 1945, dormono nella scuola di Biagasco quattro giovani partigiani, tutti appartenenti alla Divisione “Aliotta”, della quale Lucio Martinelli – 24 anni , studente in medicina – è Vice Commissario, e gli altri componenti della Brigata “Cornaggia”, della quale è comandante Ermes Alberto Piumati, “Staffora”- 30 anni , croce di guerra al merito sul fronte jugoslavo e russo -; ed  è Commissario Carlo Covini, “Oscar”, incisore, scultore, disegnatore, 39 anni ; Anna Maria Mascherini, “Anna”, – 21 anni – è partigiana, infermiera, staffetta.

Fulvio Sala – 21 anni, operaio –  e Giovanni Torlasco, – 24 anni, contadino – entrambi partigiani della Brigata “Cornaggia”, sono poco lontani.

È stato Quarto Vannutelli, che Antonio Corbelletti, Presidente di Anpi Voghera nel 2016 definisce “poco più che un ragazzo”, il delatore che ha indicato la posizione dei partigiani alle milizie fasciste e della Sicherheit.

Vengono dunque – una decina di fascisti ed una trentina di uomini della Sicherheit –  a colpo sicuro. Circondano l’abitato di Biagasco, catturano ed uccidono tutti e sei i partigiani.

Il lavoro di Giovanni Giorgi, pubblicato nel 2015 da Guardamagna per ANPI Stradella ed ANPI Val di Nizza, riporta la ricostruzione dei fatti a cura di Mauro Sonzini: ci mette di fronte alla brutalità dell’azione  dei fascisti e della Sicherheit, ci racconta della violenza con la quale sono stati trattati i giovani disarmati, della futilità delle giustificazioni addotte dai loro carnefici, che dopo avere ucciso quattro ragazzi sono riusciti – e lo trovo orribile – a pranzare, per poi ridiscendere verso lo Staffora e, non paghi, uccidere ancora: cadono Giovanni Torlasco e Fulvio Sala.

Finanche la guerra, sebbene appaia difficile da credere, ha le sue regole. Le Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907, e la Terza convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra impongono che vengano trattati con umanità, sin dalla resa, e vietano di aggredire intenzionalmente i civili. E se si pensa anche solo alla pratica di un minimo senso di umanità non c’è davvero modo di giustificare l’uccisione di prigionieri disarmati. Omicidi a sangue freddo, dunque, a Biagasco: solo violenza, sorda, cattiva, arrogante, sommaria, frettolosa, brutale, indifferente anche alle regole della guerra.

*

Se oggi siamo qui e se dopo 78 anni da quel 1945 ad oggi non si è persa la memoria di quanto è accaduto, credo sia per due ragioni principali tra loro distinte ma concatenate.

La prima: il rifiuto dell’indifferenza.

È la potenza delle ragioni che avevano condotto Piovati, Covini,Mascherini, Martinelli, Torlasco, Sala ad essere partigiani: prendere parte, partecipare. Scegliere da quale parte stare, quando la scelta è tra libertà ed oppressione, quando partecipare significa mettere a rischio la propria stessa vita. Quelle ragioni sono il coraggio, la fede, la generosità, la responsabilità, un amore infinito ed incondizionato per la libertà, che è per tutti.

E qui dobbiamo fermarci a riflettere. Ci aiuta

Antonio Gramsci 11 febbraio 1917

“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

…. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. …

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti…

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

Parole che Gramsci ha pronunciato oltre cento anni fa, che possono essere rilette oggi, a prova dell’incessante ripetersi della Storia.

Non basta, per capire, che sia Gramsci a dirci cose che sentiamo attuali? È così difficile riconoscere che la storia si ripete perché l’uomo si ripete, o se volete che la storia è sempre la stessa perché l’uomo è sempre lo stesso?

C’è un abisso tra indifferenza e partecipazione, ma che cosa ci impedisce di ricordare che la generosità è facile quando ci sentiamo forti e non lo è quando abbiamo paura di perdere i nostri piccoli o grandi privilegi e comodità? Perché fingiamo di non capire che fare l’elemosina ed operare con solidarietà non sono la stessa cosa, anche quando compiamo gli stessi gesti?

Ed ecco, allora, la seconda ragione per la quale siamo qui: è la necessità della testimonianza.

E’ la percezione, da parte di coloro che allora hanno visto e di quegli altri che hanno poi conosciuto il sacrificio di quelle vite, di quanto sia necessaria – anche nella vita propria – la testimonianza come presenza viva, incessante, quotidiana proprio delle ragioni che hanno condotto quei giovani ad essere partigiani: è la necessità che la ragione di quel sacrificio non sparisca nel tempo.

Uso la parola “percezione” invece che “consapevolezza” per un motivo preciso: percezione e consapevolezza non sono sempre coincidenti. Un conto è “sentire” che quelle morti sono ricolme di valore per tutti e per sempre. Altro – e ben più complesso e faticoso –  è farsi carico di testimoniarle nella nostra vita, nella nostra esperienza di ogni giorno.

Perché quel sacrificio non sia vano non dobbiamo commettere l’errore di consegnarlo ad un progressivo oblio, di lasciare che il succedersi delle generazioni ne allontani il ricordo e copra quei valori con l’indifferenza. Il più terribile errore che abbiamo di fronte è concludere questa commemorazione pensando che il ricordo esaurisca la testimonianza, sia da solo sufficiente a completare il nostro compito di testimoni. Non è così; anche se i decenni che sono passati da quel 1945 ad oggi sono tanti, e siamo ancora qui perfettamente consapevoli della grandezza di quel sacrificio, il rischio di commuoverci, ma relegarlo al libro di storia aumenta, mano a mano che il tempo trascorre e le generazioni si allontanano dal 1945.

Piero Calamandrei, illustre giurista e politico italiano, è stato capace – io ritengo – meglio di chiunque altro, di spiegare il vincolo indissolubile tra Resistenza e Costituzione, e come sia necessario operare ogni giorno per la difesa della libertà attraverso la piena attuazione della Costituzione.

Il discorso fu pronunciato nel salone degli Affreschi della Società Umanitaria di Milano il 26 gennaio 1955

***

E’ compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo primo “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza con il proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica.

Però vedete, la costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità.

Per questo una delle offese che si fanno alla costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo politico ….

….La politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, ….ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica…

dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane. ….Mazzini; …. Cavour; … Cattaneo; …. Garibaldi; …. Beccaria.

Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa costituzione! Dietro a ogni articolo di questa costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa cartaQuindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti.

*

Veniamo, allora, a noi, ad oggi.

È, in particolare, il richiamo forte alla piena attuazione della Costituzione Italiana che dovrà ispirare il nostro cammino.

Quando l’ultimo partigiano morirà se vorremo essere degni di innalzare ancora le bandiere delle nostre Associazioni dovremo essere pienamente consapevoli dell’obbligo di testimonianza che incombe su di noi, obbligo che il nostro lungimirante Statuto  scrive a chiare lettere al suo articolo 2; credo necessario citare, in particolare, l’impegno di ANPI di :

i) battersi affinché i princìpi informatori della Guerra di Liberazione divengano elementi essenziali nella formazione delle giovani generazioni;

l) concorrere alla piena attuazione, nelle leggi e nel costume, della Costituzione Italiana, frutto della Guerra di Liberazione, in assoluta fedeltà allo spirito che ne ha dettato gli articoli;

e questo con gli strumenti che sempre lo Statuto indica:

Educazione, istruzione e formazione ….., – Organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale,Promozione della cultura della legalità e della pace tra i popoli; – Promozione e tutela dei diritti umani, civili, sociali e politici, promozione delle pari opportunità e delle iniziative di aiuto reciproco.

*

Cito ancora Calamandrei:

“se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione.

Ed allora, possiamo dire con orgoglio che la nostra Costituzione è nata a Biagasco, e ce l’hanno donata Lucio Martinelli; Ermes Alberto Piumati, “Staffora; Carlo Covini, “Oscar”; Anna Maria Mascherini, “Anna”, Fulvio Sala e Giovanni Torlasco, ma sta a noi, ora, ogni giorno, onorare il testamento loro e di altri centomila morti per la libertà; e come insegna sempre Calamandrei dare alla costituzione  il nostro spirito, farla vivere, sentirla come cosa nostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, …. ricordandoci ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.

Essere, dunque, Partigiani, e stare dalla parte della Costituzione della nostra Repubblica, con intelligenza, rispetto, generosità, sacrificio: ora, sempre, Resistenza!

Viva i Partigiani, viva la Costituzione, viva la Repubblica, viva l’Italia!

Marco Balossino
Presidente A.N.P.I. Tortona (AL)