L’episodio che ricordiamo

In questa zona, a partire dall’estate del 1944, si organizza nel cosiddetto Casone di Lungavilla, la base “L”: un centro di reclutamento e collegamento con le strutture del CLN di Milano, oltre che di aiuto al trasferimento di giovani verso le formazioni di montagna. Un riferimento che coinvolge decine di resistenti, tra i quali molte donne, che svolgono un ruolo fondamentale, in particolare nel sostegno e nell’accompagnamento dei ragazzi che risalgono verso la collina.

Anche a Montebello si organizza una analoga struttura, seguita da Pietro Rinaldi che verrà ucciso dai brigatisti neri il 3 gennaio 1945, il giorno successivo lo scontro di Verretto.

L’attività della base “L” non passa inosservata ai responsabili provinciali della RSI, che nei loro documenti segnalano allarmati di “devastazioni” agli uffici comunali di numerosi centri di pianura, tra i quali Castelletto di B., Lungavilla, Verretto. In realtà sono colpi di mano che puntano a distruggere le liste di leva (per evitare la chiamata alle armi dei giovani nell’esercito di Salò) e gli elenchi per la consegna agli ammassi delle produzioni locali. Nell’autunno è la volta di azioni militari mirate al disarmo di presidi fascisti (Castelletto il 28 settembre), tedeschi (Lungavilla 16 ottobre e Cervesina il 24), la requisizione di un camion con 31 quintali di sale (il 19 novembre tra Branduzzo e Lungavilla). Attività che evidenziano come la presenza dei partigiani si fonda su una rete estesa di solidarietà, copertura e vicinanza da parte della popolazione, anche se non mancano delazioni e segnalazioni alle autorità fasciste.

Questa situazione cambia radicalmente ed in modo drammatico con lo sviluppo del tremendo rastrellamento invernale che inizia il 23 novembre investendo l’intero Oltrepo, la provincia di Alessandria, Piacenza e quella di Genova con una lunga catena di violenze contro le formazioni partigiane e la popolazione civile (quella femminile in particolare) fatta di distruzioni, stupri, fucilazioni ed uccisioni sommarie.

Una pagina nera che costringe i partigiani a sviluppare le tattiche più diverse dall’occultamento nelle buche alle marce sfiancanti nella neve in condizioni impossibili –
dove “le scarpe rotte” della famosa canzone sono una realtà – per sottrarsi alla morsa dei reparti fascisti e delle truppe naziste che scatenano la div. Turkestan (i cosidetti “mongoli”) e nella quale spiccano decine di episodi di resistenza e di sacrificio.
*(vedi nota a parte)

In pianura e nei centri abitati l’offensiva nazifascista si trasforma in una feroce “caccia all’uomo” nella quale si distinguono i militi della famigerata Sicherheits del colonnello Fiorentini: “Pochi uomini e molti mezzi: auto, camion, armi automatiche, munizioni e tanti soldi coi quali fabbricano spie e informatori. I soldi li fornisce Salò ma militarmente dipendono dal comandante di una divisione tedesca. Sono intoccabili (…) Vestono in nero lugubre e portano un bracciale giallo con la scritta Sicherheit…” questa la sintesi di Paolo Murialdi nel suo libro “La Traversata”.
I sicheraisti si distinguono nelle azioni di rappresaglia, nel cercare antifascisti, nel colpire singoli patrioti o partigiani, infierendo anche sui loro familiari.

Castelletto è preso di mira, ed il 4 dicembre 1944 una puntata della Sicherheit (avviata da una delazione), vede l’arresto di Ambrogio Bernini (18 anni, operaio), Candido Savi (22, operaio) e Alfredo Casarini (21, fabbro). Sono tutti assassinati e depredati di scarpe, portafogli e orologi lungo la strada tra Castelletto, Verretto e Redavalle dai fascisti che rientrano alla loro sede.

Appartengono alla brigata “Gramigna” – intitolata ad Ernesto Gramegna, contadino 55enne di Montebello, partigiano dell’Aliotta, caduto il 1 ottobre – che, inserita nella 3° div. Garibaldina Aliotta e guidata da Carletto Boldizzoni, opera tra Castelletto e Arena Po.

Altri tre partigiani, anch’essi della “Gramigna”, a distanza di pochi giorni, il successivo 10 dicembre vengono catturati dai militi della Sicherheit.
Sono Battista Longhi (37, autista), Giuseppe Barbieri (38, contadino) e Celso Civardi (30, macellaio).
Civardi viene ucciso in un presunto tentativo di fuga lungo la strada tra Broni e Scorzoletta, mentre Longhi e Barbieri vengono rinchiusi nel tristemente famoso Castello di Cigognola (sede allora della S.) dove subiscono feroci sevizie prima di essere gettati nell’orrendo pozzo del Castello.

Il cerchio si stringe verso i partigiani rimasti nella zona ed è la Brigata nera di Pavia a redigere un meticoloso piano per una puntata offensiva che coinvolge i brigatisti del capoluogo con quelli di Stradella, Mede, Casteggio, Mortara, Vigevano e Voghera, questi ultimi circa una quarantina, con Arnaldo Romanzi (comandante della Brigata Nera)

Il 2 gennaio 1945 inizia il rastrellamento, guidato da Arturo Bianchi (capo di stato maggiore della BN pavese), con oltre 200 militi, armati con mitragliatrici e mortai. La scelta è di accerchiare l’area nella quale si trova il nucleo dei resistenti, ma l’effetto sorpresa viene mancato perché poco prima delle 7 del mattino, un gruppo di brigatisti neri incrocia i partigiani, che aprono subito il fuoco.

Lo scambio di colpi è violentissimo. Ermanno Gabetta (32, impiegato), Giovanni Mussini (42, operaio), Ferruccio Luini (27, operaio), Pietro Rota (23, operaio) sono asserragliati nel casotto di campagna a Verretto. Sanno bene che non hanno possibilità di fuga, ma per oltre due ore resistono ai rastrellatori, rifiutando la resa e “beffeggiando” – come riporta la relazione del federale fascista pavese Dante Cattaneo – gli squadristi. Gabetta, Mussini, Luini e Rota: hanno alle spalle storie diverse, ruoli e responsabilità
differenti nella rete clandestina.
Ermanno Gabetta ha svolto il servizio militare in un ospedale da campo sul fronte greco albanese ed in Jugoslavia. Conosce gli orrori della guerra. Anche attraverso questa esperienza ha maturato il suo antifascismo. L’8 settembre lo coglie in licenza, non si ripresenta ed entra in clandestinità, con il nome di battaglia di “Sandri”. Diventa un punto di riferimento per la Resistenza in pianura e nella città di Voghera, dove risiede. E’ autore, con Franco Quarleri (M.O. al valor militare) ed altri gappisti, nel settembre ’44 di una fulminea azione al Castello visconteo vogherese, adibito a carcere, che libera diversi esponenti del CLN. Diventa vicecomandante della brigata “Gramigna” e per l’attività svolta e la morte in combattimento verrà decorato con la medaglia d’oro al V.M. Giovanni Mussini, il più anziano dei quattro, con l’aiuto di Longhi ha costruito nel marzo ’44 la cellula dell’organizzazione clandestina del PCI nella zona, di cui è indicato come colonna portante, mentre Luini e Rota, rappresentano per la loro età, la saldatura tra vecchio e nuovo antifascismo che si sviluppa nella lotta di Liberazione.

Quel giorno cadono tutti insieme.

Mentre la battaglia è in atto, i brigatisti neri occupano di fatto Lungavilla, rastrellando 480 persone, tutti uomini, fermati e interrogati dal mattino fino alle 16, fermandone una decina. Al termine della giornata, dopo aver lasciato circa 70 militi a presidio, due compagne di brigatisti vengono aggregate ai reparti che si apprestano ad un rastrellamento nel vercellese e nella zona di Ivrea.

Solo in serata, secondo varie testimonianze, alcuni abitanti di Verretto si avvicinano alla
casupola devastata dai colpi e parzialmente bruciata, trovando i corpi dei partigiani. Anche i funerali, celebrati diversi giorni dopo, rappresentano per i fascisti una pericolosa manifestazione, per questo impediscono la partecipazione popolare.

Le fasi dello scontro e quello che accade successivamente, sono descritte e raccolte in
diverse pubblicazioni – ricordiamo il prezioso lavoro di ricerca di Ugo Scagni, scomparso di recente, e il vasto e articolato studio di Giulio Guderzo – ma trovano ulteriori elementi di arricchimento anche nelle memorie familiari di parenti dei caduti (è il caso di Tino Mussini, parente di Giovanni, con un testo pubblicato dal figlio Sergio, alcuni anni dopo) o di persone che vissero quella giornata (come la testimonianza dell’ex sindaco di Verretto, Renato Sforzini, proposta in altre occasioni).
 

*Nel calendario della memoria civile della Resistenza oltrepadana, fortemente intrecciata con leprovince vicine, sono tre gli appuntamenti annuali che ricordano gli eccidi accaduti nel gennaio 1945: Verretto/Castelletto di Branduzzo/Lungavilla, Cascina Bella a Bressana, Pozzol Groppo in provincia di Alessandria.

Il 2 gennaio a Verretto, cadono per mano della Brigata nera Ermanno Gabetta “Sandri” (vicecomandante della Brigata “Gramigna”), Ferruccio Luini, Giovanni Mussini, Pietro Rota; il19 a Bressana Bottarone in località Cascina Bella sono uccisi dalla Sicherheit Erminio e Bordino Milanesi, padre e figlio, Pierino Landini, Giuseppe Marabelli, Natale Del Favero; nella notte tra il 30 e 31 a Pozzol Groppo in località Biagasco vengono uccisi da militi della GNR e della Sicherheit Alberto Ermes Piumati “Staffora” (comandante della Brigata “Cornaggia”), Carlo Covini “Oscar” (commissario della Brigata), Lucio Martinelli “Lucio” (vice commissario e responsabile del PCI per la Divisione “Aliotta”), Anna Maria Mascherini “Anna”, Fulvio Sala, Giovanni Torlasco.

Oltre agli episodi sopra richiamati è opportuno ricordare che l’intero mese di gennaio 1945 vede una lunga scia di uccisioni e terrore nella zona collinare ed in pianura, nella quale spicca per ferocia la Sicherheit di Felice Fiorentini. E’ la fase terminale del tremendo rastrellamento invernale ‘44/’45 (lanciato in tutto il Nord Italia) che colpisce il movimento partigiano nella fase di maggiore difficoltà: sfogliando le ricerche più note di Ugo Scagni e di Giulio Guderzo è possibile evidenziare il lungo e tragico elenco di caduti.

Il 1° gennaio a Montecalvo vengono uccisi dalla Sicherheit i partigiani Mario Martini “Amedeo”, Carlo Carini, Ennio Chiesa, Andrea Fusi e distrutte alcune cascine; il 3 a Montebello viene ferito a morte dalla Brigata nera Pietro Rinaldi (organizzatore del PCI) ed il 4 vengono fucilati dalla Sicherheit a Mornico Giuseppe Bevilacqua, Alessandro Conte e Cleto Madama; l’8 a San Damiano sempre la Sicherheit fucila Giuseppe Molinelli; il 13 a Pinarolo Po viene arrestato e ucciso dalla Sicherheit Desiderio Bosio ed il 14 a Valverde cade ucciso dai tedeschi Domenico Agatino; il 15 tra Voghera e Genestrello la Sicherheit fucila i partigiani Giancarlo Rivaroli ed Ersilio Miracca, dopo averli prelevati dal Castello di Voghera; il 16 è ferito gravemente a Volpedo dalla Brigata nera Teresio Rolandi “Silvio”, mentre il 17 a Bralello in uno scontro con tedeschi e fascisti cade Piero Daglia “Nerone”, ferito e catturato Angelo Ansaldi “Primula Rossa” (assume il comando della “Capettini” il medico Piero Galliano “Camillo”, che sarà tra i fondatori della sezione Anpi vogherese); il 20 a Portalbera è fucilato dalla Sicherheit Franco Cavanna, mentre il 23 in Val Borbera a Cantalupo ligure vengono uccisi Carlo Germani “Babi” e Dorino Mazza “Rino” ed a Zebedassi cade Antonio Ricotti; il 24 a Montù Beccaria i fascisti fucilano i fratelli Leopoldo e Renzo Brambilla, matteottini, e Aldo Bosi (renitente alla leva); sempre il 24 vengono uccisi dalla Sichereheit Angelo Cignoli “Tigre”, Franco Furini “Miscia”, Guido Gennaro e Bruno Lanati (Matteotti); il 26 a Mornico Losana la Sicherheit fucila il renitente Giuseppe Ferrara ed il 27 Mario Milanesi; il 29 a Ruino in uno scontro cade Ennio Delmonte (matteottino) così come il 30 a Ceci di Bobbio muoiono il partigiano russo Ruspo (Capettini), Giuseppe Bellocchio e Armando Monfasani; sempre a Ceci viene ucciso Antonio Belli. Da ricordare, infine, Carlo Montagna “Milan”, comandante di una brigata della II divisione garibaldina “Cascione”, caduto il 17 gennaio a Villatalla in provincia di Imperia.

In questo elenco sono undici i vogheresi – Gabetta, Covini, Mascherini, Martini, Rolandi, Germani, Mazza, Cignoli, Furini, Ferrara, Montagna – caduti in quei giorni, che si affiancano agli altri nominativi raccolti nel Sacrario partigiano del cimitero cittadino.

Dietro questi nomi, in grande maggioranza di giovani e giovanissimi, ci sono storie, culture e percorsi molto diversi, di chi ha compiuto un “lungo viaggio attraverso il fascismo”, scontrandosi con tutti i condizionamenti imposti dal regime (dalla costruzione del consenso nella società alla scuola, dall’istruzione pre militare al fuoco della guerra) prima di arrivare ad una scelta di liberazione per sé e per gli altri.

A cura di Antonio Corbeletti (Comitato ANPI provinciale Pavia)